Storia, Politica, Economia, Classi sociali


Sull’utilità e il danno della storia per la vita (Considerazioni inattuali II, 1874)

Prefazione

Certamente noi abbiamo bisogno di storia, ma in modo diverso di come ne ha bisogno il raffinato indolente nel giardino del sapere, anche se costui potrebbe guardare dall'alto i nostri duri e rozzi bisogni e necessità. Cioè, noi ne abbiamo bisogno per la vita e per l'azione, non per un comodo voltar le spalle alla vita e all'azione, o addirittura per dare un abbellimento alla vita egoistica e all'azione vile e cattiva. Noi vogliamo servire la storia nei limiti in cui essa serve la vita: ma vi è un grado di fare storia e una valutazione della stessa, in cui la vita deperisce e degenera: un fenomeno che è oggi necessario esperire sulla base dei rimarchevoli sintomi del nostro tempo, nella stessa misura in cui può essere doloroso.

1.

La storia, intesa come pura scienza e diventata sovrana, significherebbe una specie di chiusura e di bilancio della vita per l'umanità. Invece l'educazione storica è qualcosa di benefico e che dà speranza per il futuro solo in conseguenza di un forte e nuovo flusso vitale, per esempio di una cultura in divenire, cioè solo quando viene dominata e guidata da una forza superiore, e non quando essa stessa domina e guida.

La storia, fintantoché è al servizio della vita, è al servizio di una forza non storica e così, in tale dipendenza, non potrà né dovrà mai divenire pura scienza, come per esempio è la matematica. Ma la domanda fino a che punto la vita necessiti in generale della storia, è uno dei problemi e delle apprensioni massime in ordine alla salute di un uomo, di un popolo, di una cultura. Poiché, con un certo eccesso di storia, si sfalda e degenera la vita, e, a causa di questa degenerazione, alla fine anche la storia stessa.

2.

Che la vita necessita della storia deve essere compreso altrettanto chiaramente quanto la tesi, che dovrà più oltre essere dimostrata — che un eccesso di storia danneggia l'essere vivente. La storia compete al vivente sotto tre aspetti: lo riguarda, quale essere attivo e che ha aspirazioni, quale essere che conserva e venera, quale sofferente e bisognoso di liberazione. A questa triplicità di rapporti corrisponde una triplicità di tipi di storia: nel senso che è permesso distinguere una specie di storia monumentale, una antiquaria ed una critica.

La storia appartiene innanzitutto all'essere attivo e possente, a colui che combatte una grande battaglia, che abbisogna di modelli, maestri e consolatori e non può trovarli tra i suoi compagni e nel tempo presente.

Quale vantaggio ricava dunque l'uomo attuale dalla monumentale considerazione del passato, dall'occuparsi delle cose classiche e non comuni dei tempi precedenti? Egli ne arguisce che la grandezza, un giorno esistente, un tempo fu comunque possibile e perciò sarà anche possibile di nuovo; egli percorre più coraggioso il suo cammino, poiché ora è sgominato il dubbio, che lo afferra nelle ore di maggior debolezza, se per caso egli non cerchi l'impossibile.

6.

Come se il compito di ogni tempo fosse quello di dover essere giusti verso tutto ciò che un tempo fu. Tempi e generazioni non hanno mai ragione di erigersi a giudici di tutti i tempi e di tutte le generazioni passate: ma sempre e solo ai singoli e per la verità ai più rari spetta una così scomoda missione. Chi vi costringe a giudicare? Esaminate solo se potreste essere giusti, nel caso voleste esserlo! Come giudici dovreste stare più in alto di colui che deve essere giudicato; mentre voi siete solo venuti più tardi. Gli ospiti che giungono a tavola per ultimi devono giustamente avere gli ultimi posti: e voi volete avere i primi? Se è così, fate per lo meno ciò che è più alto e più grande; allora forse vi si farà veramente posto, anche se arrivate per ultimi.

9.

Un gigante grida all'altro il suo richiamo attraverso le desolate distanze dei tempi e continua, indisturbato dai nani petulanti e chiassosi che strisciano sotto di loro, l'alto colloquio degli spiriti. Il compito della storia è di essere la mediatrice tra questi e di fornire sempre nuove occasioni e forza per la generazione di ciò che è grande. No, la mèta dell'umanità non può trovarsi alla fine, ma solo nei suoi più alti esemplari.

Voi potete interpretare il passato solo con la più alta forza del presente: nella più forte tensione delle vostre più nobili qualità coglierete ciò che nel passato è grande e degno di essere noto e custodito.

Schopenhauer come educatore (Considerazioni inattuali III, 1874)

1.

Con quanta ripugnanza si occuperanno le generazioni future dell'eredità di un'epoca in cui a governare non erano uomini viventi ma parvenze di uomini con un'opinione pubblica; per questo forse la nostra epoca apparirà a una qualche lontana posterità il periodo della storia più oscuro e più ignoto perché più inumano.

4.

Ora quasi tutto sulla terra è determinato dalle forze più rozze e peggiori, dall'egoismo degli affaristi e dai tiranni militari. Lo Stato, nelle mani di questi ultimi ‑ così come l'egoismo degli affaristi ‑ fa certo il tentativo di riorganizzare tutto di sua iniziativa ed essere, quindi, vincolo e pressione per tutte quelle forze ostili: desidera, cioè, che gli uomini abbiano verso di lui la stessa idolatria che prima riservavano alla Chiesa.

Umano, troppo umano. Un libro per spiriti liberi (1878)

Volume I

454.

I pericolosi tra gli spiriti della sovversione. - Si dividano coloro che mirano a un sovvertimento della società in quelli che vogliono ottenere qualcosa per sé e in quelli che vogliono qualcosa per i loro figli e nipoti. Questi ultimi sono i più pericolosi; infatti hanno la fede e la buona coscienza del disinteresse. I primi li si può tacitare: la società dominante è abbastanza ricca e accorta per farlo. Il pericolo insorge quando i fini diventano impersonali; i rivoluzionari mossi da un interesse impersonale possono considerare tutti i difensori dell’ordine vigente come mossi da interesse personale e sentirsi quindi superiori a loro.

457.

Schiavi e operai. ‑ Che noi attribuiamo maggior valore al soddisfacimento della vanità che a ogni altro bene (sicurezza, impiego, piaceri di ogni sorta) è dimostrato in un grado ridicolo dal fatto che ognuno (a prescindere da ragioni politiche) desidera l’abolizione della schiavitù e aborre oltre ogni limite dal ridurre gli uomini in questa condizione: mentre ognuno deve dirsi che gli schiavi vivono sotto ogni rapporto più sicuri e felici dell’operaio moderno, e che il lavoro dello schiavo è molto poco lavoro in confronto a quello del «lavoratore».

Volume II

220.

Reazione contro la civiltà delle macchine. ‑ La macchina, essa stessa prodotto del più alto raziocinio, mette in moto nelle persone che le sono addette quasi esclusivamente le energie più basse e prive di pensiero. Essa scatena così una quantità di forze in genere, che altrimenti dormirebbe, questo è vero; ma non dà la spinta a salire più in alto, a far meglio, a diventare artisti. Rende attivi e uniformi ‑ ma ciò produce alla lunga un effetto contrario, una disperata noia dell'anima che per mezzo suo impara ad aver sete di un ozio ricco di mutamenti.

285.

Affinché in futuro la proprietà ispiri maggior fiducia e diventi più morale, si lascino aperte alla piccola proprietà tutte le vie del lavoro, ma si impedisca l'arricchimento facile e rapido: si sottraggano alle mani dei privati e delle società private tutti i rami del trasporto e del commercio che favoriscono l'accumulo di grandi sostanze, quindi soprattutto il commercio del denaro ‑ e si considerino sia i troppo ricchi sia i nullatenenti come esseri pericolosi per la comunità.

304.

Spiriti della sovversione e spiriti del possesso. L'unico rimedio contro il socialismo che sia ancora in vostro potere è: non provocarlo, il che significa vivere con moderazione e sobrietà, evitare per quanto è possibile l'ostentazione dell'opulenza e venire in aiuto dello Stato, quando esso impone tasse rilevanti su tutto ciò che è superfluo e ha l'apparenza del lusso. Non volete questo rimedio? Allora, ricchi borghesi che vi dite «liberali», ammettetelo, è la vostra stessa disposizione quella che trovate così terribile e minacciosa nei socialisti, ma che ammettete in voi stessi come inevitabile, come se nel loro caso essa fosse qualcosa di diverso. Se, così come siete, non aveste il vostro patrimonio e la preoccupazione di conservarlo, questa vostra disposizione vi renderebbe socialisti: solo il possesso vi distingue da loro. Dovete innanzitutto vincere voi stessi, se volete in qualche modo vincere i nemici della vostra agiatezza.

- E magari quell'agiatezza fosse realmente benessere! Non sarebbe così esteriore e provocatrice d'invidia, sarebbe più partecipe, più benevola, più accomodante, più provvida. Ma la falsità e l'affettazione delle gioie del vostro vivere, che stanno più nel senso del contrasto (che altri non le abbiano e vi invidino) che non nel senso di un appagamento e potenziamento delle forze - le vostre case, i vostri abiti, le vostre vetture, le vostre vetrine, le esigenze del vostro palato e della vostra mensa, il vostro rumoroso entusiasmo per l'opera e la musica, e infine le vostre donne, formate e colte, ma di metallo non nobile, dorate, ma senza il suono dell'oro, scelte da voi come oggetti da esposizione, e che come tali si comportano: - questi sono i velenosi propagatori di quella malattia popolare, il socialismo, che come una rogna del cuore si comunica sempre più rapidamente alla massa, ma che in voi ha la sua prima sede e il suo focolaio. E chi potrebbe oggi fermare questa peste?

310.

Un pericolo, nella ricchezza. - Solo chi ha spirito dovrebbe avere proprietà: altrimenti la proprietà costituisce un pericolo pubblico. Infatti il proprietario, che non sa fare alcun uso del tempo libero che la proprietà potrebbe garantirgli, continuerà sempre ad aspirare alla proprietà: questa aspirazione sarà per lui una distrazione, lo stratagemma nella sua lotta contro la noia. Nasce così, da una modesta proprietà che a un uomo spirituale basterebbe, la vera e propria ricchezza: ossia come brillante risultato di mancanza d'autonomia e di povertà spirituale. Ora però egli appare assai diverso da come la sua meschina origine farebbe supporre, perché può mascherarsi di cultura e d'arte: egli appunto può comprare la maschera. In tal modo provoca l'invidia dei più poveri e ignoranti - i quali in fondo invidiano sempre la cultura, e nella maschera non vedono la maschera - e prepara via via un rivolgimento sociale: infatti una rozzezza dorata e uno studiato gonfiarsi nel preteso «godimento della cultura» ispirano il pensiero che «dipende solo dal denaro» - mentre, certo, dal denaro qualcosa dipende, ma molto di più dipende dallo spirito.

313.

Quando sono necessari gli asini. - Non si spingerà la folla a gridare osanna se non si entrerà nella città cavalcando un asino.

314.

Costume di partito. - Ogni partito cerca di far apparire insignificante quel che di importante è cresciuto all'infuori di esso: ma se non gli riesce, lo osteggia tanto più aspramente, quanto più è eccellente.

317.

Il possesso possiede. - Solo fino a un certo punto il possesso rende l'uomo più indipendente, più libero; un grado più in là - e il possesso diventa il padrone, e il possessore il suo schiavo: come tale deve sacrificargli il suo tempo, il suo pensiero, e da quel momento si vede costretto a un rapporto, inchiodato a un luogo, incorporato in uno Stato - e tutto forse contro il suo più intimo ed essenziale bisogno.

318.

Sul dominio dei sapienti. - E’ facile, ridicolmente facile, stabilire il modello per la scelta di un corpo legislativo. Innanzitutto dovrebbero isolarsi, fiutandosi e riconoscendosi a vicenda, gli uomini onesti e fidati di un paese, che allo stesso tempo siano maestri ed esperti in qualche cosa: da essi poi, in una scelta più ristretta, dovrebbero selezionarsi i più grandi specialisti e sapienti in ogni campo specifico, anche qui riconoscendosi e garantendosi a vicenda. Quando il corpo legislativo fosse così composto, infine dovrebbero per ogni singolo caso decidere solo i voti e i giudizi degli esperti più specializzati, e l'onestà di tutti gli altri dovrebbe esser diventata abbastanza grande, da esser una semplice questione di decenza il lasciare solo a quelli la facoltà di votare in merito: sicché, nel senso più stretto, la legge scaturisce dall'intelligenza dei più intelligenti.

- Oggi votano i partiti: e in ogni votazione debbono esserci centinaia di coscienze vergognose - quelle dei male informati, degli incapaci di giudizio, di quelli che ripetono l'opinione altrui, che vanno dietro agli altri, che vengono trascinati. Niente avvilisce la dignità di ogni nuova legge più di questo rossore della disonestà ad essa aderente e a cui ogni voto di partito costringe.

Ma, come abbiamo detto, è facile, ridicolmente facile, metter su una cosa del genere: nessuna potenza del mondo oggi è abbastanza forte per realizzare il meglio, - a meno che la fede nella superiore utilità della scienza e di coloro che sanno non finisca per illuminare anche il più malintenzionato e venga preferita alla fede, oggi predominante, nel numero. Nel senso di questo futuro il nostro motto sia: «Più rispetto per chi sa! E abbasso tutti i partiti!».

321.

La stampa. - Se i considera come ancor oggi tutti i grandi avvenimenti politici si insinuino sulla scena segretamente e velati, e come vengano nascosti da fatti insignificanti, accanto ai quali essi appaiono piccoli, e come solo dopo essere accaduti mostrino i loro profondi effetti e facciano tremare il terreno - quale importanza si deve attribuire alla stampa così com'è oggi, con il suo quotidiano dispendio di fiato per gridare, stordire, eccitare, spaventare - è forse essa più del cieco chiasso permanente che svia le orecchie e i sensi in una falsa direzione?

457.

Schiavi e operai. ‑ Che noi attribuiamo maggior valore al soddisfacimento della vanità che a ogni altro bene (sicurezza, impiego, piaceri di ogni sorta) è dimostrato in un grado ridicolo dal fatto che ognuno (a prescindere da ragioni politiche) desidera l’abolizione della schiavitù e aborre oltre ogni limite dal ridurre gli uomini in questa condizione: mentre ognuno deve dirsi che gli schiavi vivono sotto ogni rapporto più sicuri e felici dell’operaio moderno, e che il lavoro dello schiavo è molto poco lavoro in confronto a quello del «lavoratore».

Aurora (1881)

1.

Razionalità posteriore. - Tutte le cose che vivono a lungo, a poco a poco si intridono a tal punto di ragione, che la loro provenienza dall'irrazionale diviene perciò improbabile. Non suona paradossale ed empia per il sentimento quasi ogni precisa storia di una genesi? Il buon storico, in fondo, non contraddice continuamente?

173.

Gli elogiatori del lavoro. - Nella magnificazione del «lavoro», nell'instancabile discorrere della «benedizione del lavoro», vedo la stessa intenzione nascosta che si cela nella lode delle azioni impersonali di comune utilità: quella della paura dinanzi a tutto ciò che è individuale. Al fondo, si sente oggi, alla vista del lavoro - con ciò si intende sempre quella faticosa attività che dura dal mattino alla sera - che esso costituisce la migliore polizia che tiene ognuno a freno e sa vigorosamente impedire lo sviluppo della ragione, della bramosia, del desiderio d'indipendenza. Giacché esso consuma in modo straordinario una gran quantità d'energia nervosa e sottrae questa stessa al riflettere, al rimuginare, al sognare, al preoccuparsi, all'amare, all'odiare; si pone sempre dinanzi una piccola meta e si procura facili e regolari appagamenti. Così una società, nella quale si lavora di continuo e duramente, avrà più sicurezza: ed oggi la sicurezza è adorata come la divinità suprema. - E ora! Terribile! Proprio il «lavoratore» è divenuto pericoloso! Il presente brulica di «individui pericolosi»! E dietro ad essi il pericolo dei pericoli - l'individuum!

175.

Pensiero fondamentale di una civiltà dedita al commercio. - Oggi, più volte, si osserva la civiltà di una società nascente per cui l'esercizio del commercio sia come l'anima, tanto quanto per gli antichi Greci lo fu l'agone individuale, e per i Romani la guerra, la vittoria e il diritto. Chi è dedito al commercio sa fissare il valore di ogni cosa, senza costituirlo, e precisamente sa fissarlo secondo il bisogno dei consumatori, non secondo il proprio più personale bisogno; «chi e quanti consumano questo?» è per lui la domanda delle domande. Un tale tipo di valutazione egli ora l'applica istintivamente e di continuo a tutto, e quindi anche alle produzioni delle arti e delle scienze, dei pensatori, dei dotti, degli artisti, degli uomini di Stato, dei popoli e dei partiti, di intere epoche: per ogni cosa che viene prodotta egli chiede riguardo alla domanda e all'offerta, al fine di stabilire per sé il valore di una cosa. Tutto ciò viene elevato a carattere di un'intera civiltà, e ponderato fino all'estrema ampiezza e finezza, e impronta di sé ogni volere e potere: questo è quanto di cui voi uomini del prossimo secolo sarete orgogliosi, se i profeti della classe mercantile hanno ragione a consegnarlo nelle vostre mani!

178.

I quotidianamente logorati. ‑ Questi giovani non mancano né di carattere, né di buone doti, né di diligenza: ma non si è lasciato mai loro il tempo di darsi una direzione, piuttosto li si è abituati fin dall'infanzia a ricevere una direzione. Allora, quando erano abbastanza maturi «per essere mandati nel deserto», si fece qualcosa di diverso, ‑ li si utilizzò, li si sottrasse a se stessi, li si educò ad essere quotidianamente logorati, e di tutto ciò si fece per loro una teoria di doveri ‑ e adesso non possono più farne a meno e non vogliono altro. L'unica cosa che non si può rifiutare a questi poveri animali da tiro sono le «ferie» ‑ come vien chiamato questo ideale d'ozio di un secolo sovraffaticato dal lavoro: quando per una volta ci è permesso di oziare e di essere cretini e infantili a piacimento.

179.

Quanto meno Stato possibile! - Nessuna situazione politica ed economica merita che proprio gli spiriti più dotati possano e debbano occuparsi di essa: un tale consumo dello spirito è al fondo peggiore di una situazione di crisi. Questi sono e restano ambiti di lavoro per i cervelli più limitati e soltanto i cervelli più limitati dovrebbero essere posti a servizio di questo laboratorio: meglio se la macchina va ancora una volta in pezzi! E’ una grande e ridicola follia, come stanno oggi le cose, che non solo tutti credono, a questo proposito, quotidianamente, di dover sapere, ma vogliono darsi da fare per questo in ogni momento e perciò piantano anche in asso il proprio lavoro. A tal prezzo, si paga troppo cara la «sicurezza generale»: e la cosa più assurda è che per giunta viene con ciò prodotto il contrario della sicurezza generale, come il nostro caro secolo sta per dimostrare: come se non fosse mai stato ancora dimostrato! Rendere la società sicura dai furti e dagli incendi e infinitamente comoda per ogni sorta di traffici e commerci e trasformare lo Stato nella Provvidenza, in senso buono o cattivo, - questi sono obiettivi bassi, mediocri e non assolutamente indispensabili, che non si dovrebbe cercare di ottenere con i mezzi e gli strumenti più elevati che in genere esistono, - i mezzi, che dovrebbero appunto esser riserbati per fini più elevati e rari! La nostra epoca, per quanto discorra di economia, è una dissipatrice: dissipa la cosa più preziosa, lo spirito.

307.

Facta! Anzi, facta ficta! - Uno storico non ha a che fare con quanto è realmente accaduto, bensì solo con gli avvenimenti presunti: solo questi infatti hanno avuto degli effetti. Così pure soltanto con presunti eroi. Il suo tema, la cosiddetta storia universale, consiste in opinioni intorno ad azioni presunte e ai loro presunti motivi che danno nuovamente adito ad opinioni ed azioni, la cui realtà però subito svapora e soltanto come vapore produce degli effetti, - un incessante generare e concepire fantasmi sopra le fitte nebbie dell'imperscrutabile realtà. Tutti gli storici raccontano di cose che non sono mai esistite, tranne che nella rappresentazione.

La gaia scienza (1882)

5. Doveri incondizionati.

Tutti gli uomini i quali, per poter agire, sentono di aver bisogno di parole e suoni molti forti, gesti e posizioni molto eloquenti: politici della rivoluzione, socialisti, predicatori penitenziali con o senza cristianesimo, per i quali non può darsi neppure un mezzo successo; tutti costoro parlano di «doveri», e più precisamente di doveri di tipo incondizionato, ― senza i quali non avrebbero diritto al loro grande pathos, lo sanno bene! Fanno così ricorso alle filosofie della morale, che predicano un qualche imperativo categorico, o introiettano un bel po' di religione, come ad esempio ha fatto Mazzini. Poiché vogliono che in loro si abbia una fiducia incondizionata, hanno prima bisogno di avere una fiducia incondizionata in se stessi, sulla base di un qualche comandamento ultimo, indiscutibile e di per sé sublime, di cui si sentano servi e strumenti, tanto da potersi spacciare per tali. Qui abbiamo gli avversari più naturali e in genere anche più influenti dell'illuminismo e dello scetticismo morale: ma sono rari.

Per contro un'ampia classe di questi avversari esiste dappertutto laddove l'interesse insegna la sottomissione, mentre fama e onore sembrano proibirla. Chi si sente disonorato al pensiero di essere strumento di un principe o di un partito o di una setta o addirittura di una potenza finanziaria, ad esempio in quanto rampollo di una superba famiglia di antico lignaggio, eppure vuole o deve essere un tale strumento, davanti a sé e alla pubblica opinione, costui ha bisogno di princìpi patetici, che gli si possono trovare in bocca in ogni momento: princìpi di un dovere incondizionato, cui ci si possa sottomettere e mostrare sottomessi senza vergogna alcuna.

Il servilismo più raffinato si attiene sempre all'imperativo categorico ed è nemico mortale di coloro che vogliano togliere al dovere il suo carattere di incondizionatezza: glielo impone la decenza, e non soltanto la decenza.

7. Qualcosa per gli operosi.

A chi voglia approfondire lo studio delle questioni morali si apre un immenso campo di lavoro. Ogni specie di passione deve essere ripensata singolarmente, deve essere seguita singolarmente attraverso epoche, popoli, singoli piccoli e grandi; per ciascuna, deve venire alla luce tutta la sua ragione e tutte le sue valutazioni e illuminazioni delle cose!

Finora ciò che ha dato colore all'esistenza non ha ancora storia: dove sarebbe altrimenti una storia dell'amore, dell'avidità, dell'invidia, della coscienza, della pietà, della crudeltà? A tutt'oggi manca completamente anche una storia comparativa del diritto, o anche soltanto della pena. Forse che le diverse suddivisioni del giorno, le conseguenze di una disposizione regolare di lavoro, festa e riposo sono state fatte oggetto di qualche ricerca? Si conoscono gli effetti morali del cibo? Esiste una filosofia della nutrizione? (Il chiasso che ogni tanto si riaccende intorno alla dieta vegetariana dimostra che tale filosofia non esiste ancora!) Sono già state raccolte esperienze sulla vita comunitaria, ad esempio quella dei monasteri? È già stata presentata la dialettica del matrimonio e dell'amicizia? I costumi di dotti, commercianti, artisti, artigiani, hanno forse già trovato i loro pensatori? Ci sarebbe tanto da pensare?

Tutto ciò che gli uomini hanno sinora considerato quali precondizioni essenziali alla loro esistenza, e tutta la ragione, la passione e la superstizione legate a questa considerazione, sono stati indagati fino in fondo?

23. I segni della corruzione.

Di tanto in tanto si osservano, in quelle condizioni necessarie alla società solitamente definite dalla parola corruzione, i seguenti sintomi. Non appena la corruzione si fa strada da qualche parte, prende piede anche una variopinta superstizione, rispetto alla quale quella che fino a quel momento era stata la fede di tutto un popolo diviene pallida e impotente: la superstizione è infatti un libertinaggio di seconda categoria e chi le si abbandona seleziona determinate forme e formule che trova più adatte a sé, concedendosi così il diritto di scegliere.

Il superstizioso, rispetto al religioso, è sempre più «persona», e in una società superstiziosa ci saranno sicuramente molti più individui e gusto dell'individuale. Da questo punto di vista, la superstizione appare sempre un progresso nei confronti della fede e un segno che l'intelletto diviene più indipendente ed esige i suoi diritti.

La corruzione è naturalmente lamentata dai veneratori della vecchia religione e della vecchia religiosità ― essi hanno sinora influenzato anche l'uso linguistico e creato alla superstizione una cattiva fama persino tra i suddetti spiriti liberi. Impariamo invece che è un simbolo dell’illuminismo. Una società in cui si faccia strada la corruzione è accusata anche di infiacchimento: e visibilmente diminuisce, in essa, l'apprezzamento della guerra e il piacere della guerra, e si aspira alle comodità della vita come un tempo si faceva con gli onori bellici e ginnastici. Ma si trascura il fatto che le antiche energie e passioni del popolo, magnificamente visibili in guerra e nei giochi ginnici, si sono adesso trasformate in innumerevoli passioni private e sono divenute soltanto meno visibili; anzi, probabilmente in fase di «corruzione» la potenza e la violenza dell'energia complessivamente impiegata da un popolo sono più grandi che mai e l'individuo ne spreca a profusione, come un tempo non avrebbe potuto fare ― non era infatti abbastanza ricco!

Ed è proprio durante i tempi dell'«infiacchimento» che la tragedia percorre case e vicoli, che nascono grandi amori e grandi odi, che la fiamma della conoscenza divampa fino al cielo. In terzo luogo, come per indennizzare il disonore della superstizione e dell'infiacchimento, si è soliti affermare che i tempi di corruzione sarebbero più miti e che in essi diminuirebbe la crudeltà che contraddistingueva quelli più fedeli e forti. Ma anche a questa lode non posso associarmi, come non mi associo al biasimo: ammetto soltanto che la crudeltà si è raffinata e che le sue forme più antiche sono divenute contrarie al gusto; ma l'arte di ferire e torturare con le parole e con lo sguardo raggiunge, in periodo di corruzione, la sua massima raffinatezza: soltanto adesso nasce la cattiveria e il gusto della cattiveria.

Gli uomini della corruzione sono arguti e calunniosi; sanno che ci sono altri mezzi per uccidere oltre al pugnale e all'aggressione; sanno anche che si presta fede a tutto ciò che è definito ben detto. ―

Quarto: quando «i costumi decadono» emergono quegli esseri detti tiranni: sono i precursori e al contempo i primi esemplari degli individui. Ancora un pochettino: e questo frutto dei frutti penderà giallo e maturo all'albero di un popolo, ― un albero che esisteva soltanto perché potessero nascere questi frutti!

Se la decadenza ha raggiunto il culmine, e così la lotta di ogni specie di tiranni, giunge immancabilmente il Cesare, il tiranno conclusivo, che pone termine alla lotta ormai stanca per il dominio assoluto facendo lavorare quella stanchezza in suo favore. In questo momento, di solito, l'individuo ha raggiunto il massimo della sua maturità e quindi anche la «cultura» ha raggiunto il suo punto più elevato e fecondo, ma non per lui o per mezzo suo: per quanto i vertici dell'intellettualità amino lusingare in tal senso il loro Cesare, spacciandosi per opera sua. La verità è però che essi hanno bisogno di quiete all'esterno, perché hanno la loro inquietudine e il loro lavoro dentro di sé.

In questi periodi, la corruttibilità e il tradimento sono massimi: infatti l'amore per l'ego appena scoperto è troppo più potente dell'amore per la vecchia, consunta e moribonda «patria», e l'esigenza di mettersi in qualche modo al sicuro contro le terribili oscillazioni della fortuna apre anche le mani più nobili, non appena un ricco o un potente si mostra disposto a versarvi dell'oro. Il futuro è così poco sicuro che si vive per l'oggi: uno stato d'animo che consente a tutti i seduttori un facile gioco; ci si lascia infatti sedurre e corrompere soltanto per l'oggi, preservandosi il futuro e le virtù!

È noto che gli individui, questi veri In-sé e Per-sé, si preoccupano dell'istante molto più dei loro contrari, gli uomini del gregge, perché costoro ritengono se stessi inattendibili quanto il futuro: è per questo che si legano volentieri a persone violente, perché hanno fiducia in azioni e informazioni che nella massa non possono trovare né comprensione né grazia. Il tiranno o il Cesare, però, capisce il diritto dell'individuo anche nei suoi eccessi, e ha tutto l'interesse a dare la parola a una morale privata più ardita, cui offre egli stesso la mano. Infatti egli pensa di sé, e vuole che gli altri persino di lui, quel che Napoleone espresse una volta nel modo che gli era tipico: «Io ho il diritto di rispondere a tutto ciò di cui mi si accusa con un eterno io-sono-così. Io sono al di là di ogni mondo, io non accetto condizioni da nessuno. Voglio che ci si sottometta anche alle mie fantasie e che si trovi naturalissimo che io mi dedichi a questa o a quella dissipazione». Così disse una volta Napoleone alla sua consorte, che aveva tutti i motivi per mettere in dubbio la fedeltà coniugale del marito.

È durante i periodi di corruzione che cadono le mele dagli alberi: intendo dire gli individui, i portatori del seme del futuro, gli autori della colonizzazione spirituale e della ricostruzione dei legami statuali e sociali.

La parola corruzione costituisce un'ingiuria soltanto durante l'autunno di un popolo.

30. Commedia dei famosi.

Gli uomini famosi, che hanno bisogno della loro fama, come ad esempio tutti i politici, scelgono i loro amici e alleati non senza secondi fini: da questo vogliono un riflesso della sua virtù, da quello quel che c'è di spaventevole in determinate caratteristiche che tutti gli riconoscono, a quell'altro ancora rubano la fama del suo ozio, del suo starsene al sole, perché ogni tanto sembrare pigri e distratti può giovare ai loro scopi; ora hanno bisogno di un tipo fantasioso, ora di un conoscitore, ora di uno che sta sempre ad almanaccare, ora del pedante: questi corrispondono al suo io presente, ma presto non gli occorreranno più! E così i loro ambienti e i loro lati esteriori continuano a morire, mentre tutto in questo ambiente sembra serrarsi e diventare il loro «carattere»: in questo sono simili alle grandi città. La loro fama cambia costantemente, proprio come il loro carattere, perché l'alternarsi dei loro mezzi esige questa alternanza, e mettono in evidenza e in scena ora questa, ora quella caratteristica, reale o fittizia: i loro amici e alleati sono infatti caratterizzati, come abbiamo detto, da queste qualità teatrali. Per contro quello che voglio davvero deve rimanere tanto più fermo e ferreo e brillante: e anche questo ha bisogno, talvolta, della sua commedia e delle sue quinte.

31. Commercio e nobiltà.

Acquistare e vendere è considerata oggigiorno una cosa banale, come l'arte del leggere e scrivere; chiunque vi è esercitato, anche se non si tratta di un commerciante, e per di più si esercita ogni giorno, in questa tecnica: proprio come un tempo, quando l'umanità era ancora selvaggia, tutti erano cacciatori e si esercitavano, giorno dopo giorno, nell'arte della caccia. Allora era la caccia ad essere banale: ma come essa divenne un privilegio di nobili e potenti, come perdette il suo carattere di cosa quotidiana e banale e smise di essere una necessità per trasformarsi in una questione di umore e di lusso, così potrebbe capitare prima o poi anche alle operazioni di compravendita.

Sono pensabili situazioni sociali in cui né si compra né si acquista e dove gradualmente la necessità di questa tecnica vada gradualmente perduta: forse perché allora i singoli, meno soggetti alla legge delle condizioni generali, potranno permettersi la compravendita come un lusso della percezione. Allora forse il commercio acquisirebbe una certa distinzione e i nobili se ne occuperebbero volentieri, come hanno fatto fino ad ora con la guerra e la politica: per contro, la valutazione della politica potrebbe modificarsi completamente. Già adesso sta cessando di essere l'artigianato dei nobili: ed è forse possibile che un giorno la si trovi così volgare che, come tutta la letteratura politica e la cronaca, la si possa schedare alla voce «prostituzione dello spirito».

40. Sulla mancanza di distinzione.

Soldati e condottieri hanno sempre una condotta reciproca più elevata di quella che contraddistingue lavoratori e datori di lavoro. Per il momento, almeno, tutta la cultura militarmente fondata si trova ancora al di sopra della cosiddetta cultura industriale: quest'ultima, nella sua forma attuale, è assolutamente la forma di esistenza più volgare che ci sia mai stata. Qui governa semplicemente la legge della necessità: si vuole vivere e ci si deve vendere, ma si disprezza colui che sfrutta questa necessità e si compra il lavoratore. È raro che la sottomissione a persone potenti, che incutono timore e sono magari anche orribili, a tiranni e comandanti, risulti così penosa come la sottomissione a persone ignote e poco interessanti, come sono tutti i grandi dell'industria: nel datore di lavoro, infatti, il lavoratore vede soltanto un cane d'uomo, astuto, sfruttatore, che specula su ogni necessità, i cui nomi, figura, costumi e fama gli sono del tutto indifferenti.

Probabilmente ai fabbricanti e ai grandi imprenditori del commercio sono mancati, sino ad oggi, tutti quei segni e quelle forme della razza superiore che sole possono rendere interessanti le persone; se avessero avuto nello sguardo e nei gesti la distinzione della nobiltà di sangue, forse tra le masse non sarebbe nato il socialismo. Infatti esse sono pronte, in fondo, a ogni tipo di schiavitù, purché il superiore sia costantemente legittimato come tale, come nato per comandare ― dalla distinzione! L'uomo più volgare sente che la distinzione non si può improvvisare e che in essa egli deve venerare il frutto di lunghe epoche; ma l'assenza di superiorità e la nota volgarità dei fabbricanti, con le loro mani rosse e grasse, gli fanno pensare che soltanto il caso e la fortuna abbiano sollevato l'uno sull'altro: ebbene ― questa è la conclusione ― tentiamo anche noi il caso e la fortuna! Tiriamo i dadi! ― Ed ecco comincia il socialismo.

174. In disparte.

Il parlamentarismo, ovvero la pubblica licenza di poter scegliere tra cinque opinioni politiche fondamentali, lusinga quei molti che vorrebbero apparire autonomi e individuali e desiderano lottare per le loro opinioni. In fin dei conti, però, è indifferente se al gregge sia imposta una opinione o se gliene siano concesse cinque. Chi si discosta da una delle cinque opinioni pubbliche e si mette in disparte, si ritrova sempre tutto il gregge contro di sé.

215.

Il commercio secondo la sua essenza è satanico. Le commerce, c'est le prêtérendu, c'est le prêt avec le sousentendu: Rendsmoi plus que je ne te donne.

Lo spirito di ogni commerciante è completamente vicié.

Le commerce est naturel, donc il est infâmé.

Il meno insensato fra tutti i commercianti è chi dice: siamo virtuosi per ottenere molto più denaro degli stolti che sono viziosi. Per l'uomo di commercio la stessa onestà è una speculazione per l'utile.

Le commerce est satanique, parce qu 'il est une des formes de l'égoisme.

611.

Noia e gioco. ‑ II bisogno ci costringe al lavoro, con i proventi del quale noi soddisfiamo il bisogno; il continuo insorgere dei bisogni fa sì che ci abituiamo al lavoro. Ma nei momenti di pausa in cui i bisogni sono soddisfatti e per così dire dormono, ci assale la noia. Che cos’è questa? E’ l’abitudine al lavoro in genere, che ora si impone come nuovo bisogno e va ad aggiungersi agli altri; essa sarà tanto più forte quanto più uno è avvezzo al lavoro, e forse addirittura quanto più uno ha sofferto dei bisogni. Per sfuggire alla noia, l’uomo lavora oltre i suoi normali bisogni oppure inventa il gioco, vale a dire quel lavoro che non deve tacitare nessun altro bisogno se non quello di lavorare.”

Al di là del bene e del male. Preludio ad una filosofia dell’avvenire (1886)

203.

La totale degenerazione dell'uomo giù fino a ciò che oggi appare ai babbei socialisti e alle teste vuote come il loro «uomo del futuro», come il loro ideale questa degenerazione e deprezzamento dell'uomo a perfetto animale del gregge (o come essi dicono in uomo della «società libera»), questo abbrutimento dell'uomo in bestiola con uguali diritti ed esigenze è possibile, non vi è alcun dubbio! Chi ha pensato a questa possibilità fino in fondo, almeno una volta, conosce una nausea in più rispetto agli uomini, e forse anche un nuovo compito!

242.

Si chiami ora «civilizzazione» o «umanizzazione» o «progresso» ciò in cui oggi si cerca il contrassegno degli Europei; lo si chiami semplicemente, senza lodi e senza biasimo, con una formulazione politica, il movimento democratico d'Europa: dietro a tutti i prosceni morali e politici ai quali con tali formule ci si riferisce, si compie un gigantesco processo fisiologico, che scorre con sempre maggiore fluidità, ‑ il processo di una progressiva assimilazione degli Europei, il loro crescente allontanamento dalle condizioni per le quali sorsero razze vincolate al clima e al ceto, la loro crescente indipendenza da ogni milieu determinato che tenderebbe a iscriversi lungo i secoli, con uguali esigenze, nell'anima e nel corpo, ‑ durante la graduale ascesa di una specie d'uomo essenzialmente sovranazionale e nomade, la quale, detto in termini fisiologici, possiede come segno distintivo una grandissima capacità e forza d'adattamento.

Questo processo dell'europeo in formazione, che può essere ritardato nel suo ritmo da grandi ricadute ma che proprio con ciò guadagna e cresce in veemenza e profondità ‑ si possono collocare tra queste ricadute l'ancor furioso Sturm und Drang del «sentimento nazionale» assieme all'anarchismo che sta appunto aumentando ‑: questo processo sta portando probabilmente a risultati che i suoi ingenui promotori e lodatori, gli apostoli delle «idee moderne» non avrebbero voluto prendere in considerazione.

Le stesse nuove condizioni, che ci daranno il livellamento e la progressiva mediocrità dell'uomo, un utile, laborioso uomo del gregge, polivalente e abile, ‑ sono atte al massimo grado a produrre a uomini eccezionali, della qualità più pericolosa e affascinante.

Mentre cioè quella forza di adattamento, che collauda condizioni sempre mutanti e con ogni generazione, quasi con ogni decennio, inizia un nuovo lavoro, rende affatto impossibile la potenza del tipo; mentre l'impressione di insieme di tali futuri Europei sarà verosimilmente quella di lavoratori di ogni tipo, chiacchieroni, privi di volontà e interscambiabili, che hanno bisogno del padrone, di chi comanda, come del pane quotidiano; mentre dunque la democratizzazione dell'Europa si avvia alla creazione di un tipo predisposto alla schiavitù nel senso più sottile: l'uomo forte dovrà crescere in certi casi singoli ed eccezionali, più forte e più ricco di quanto forse non sia mai stato fino ad oggi, ‑ grazie alla spregiudicatezza della sua educazione, grazie all'immensa varietà delle sue abitudini, della sua arte e della sua maschera. Volevo dire: la democratizzazione d'Europa è ad un tempo una involontaria propedeutica all'allevamento di tiranni; ‑ intendendo la parola in ogni senso, anche in quello più spirituale.

259.

Astenersi reciprocamente dall'offesa, dalla violenza, dallo sfruttamento, equiparare la propria volontà a quella degli altri: ciò può divenire in un certo qual rozzo modo una buona abitudine tra individui, ove ve ne siano le condizioni (cioè la loro effettiva omogeneità di forze e di valori e la loro appartenenza reciproca all'interno di un unico corpo). Non appena però si volesse prendere questo principio in senso più ampio e, se possibile, come principio fondamentale della società, esso si dimostrerebbe subito per ciò che è: volontà di negazione della vita, principio di dissoluzione e di decadenza. Occorre qui pensare in modo esaustivo al fondamento e rifiutarsi ad ogni debolezza sentimentale: la vita stessa è essenzialmente, appropriazione, violazione, sopruso su ciò che è estraneo e più debole, oppressione, durezza e imposizione delle proprie forme, annessione e perlomeno ‑ ed è il caso più benevolo ‑, sfruttamento, ma a che scopo bisognerebbe usare sempre proprio queste parole, sulle quali si è impressa sin dai tempi antichi un'intenzione diffamatoria?...

Lo «sfruttamento» non appartiene a una società deteriorata o incompleta e primitiva: esso appartiene all'essenza stessa di ciò che è vivente, come organica funzione fondamentale essa è una conseguenza della caratteristica volontà di potenza, che è appunto la volontà della vita.

La volontà di potenza. Scritti postumi per un progetto (1887-1888)

60.

La confusione moderna

Io non vedo che cosa si voglia fare con l'operaio europeo. Egli sta troppo bene per non pretendere ora un poco alla volta di più, per non pretendere con sempre maggiore esagerazione: alla fine ha il numero dalla sua. E’ completamente finita la speranza che si costituisca qui una specie d'uomo modesta e facilmente contentabile di sé, una schiavitù nel senso più blando del termine, in breve una classe, qualcosa che abbia immutabilità. Si è reso l'operaio militarmente abile: gli si è dato il diritto di voto, il diritto di associazione: si è fatto di tutto per corrompere quegli istinti sui quali si poteva fondare una cineseria operaia: così che l'operaio già oggi sente e fa sentire la sua esistenza come uno stato di bisogno (in termini morali come un'ingiustizia...)... Ma cosa vogliamo? domandiamo ancora una volta. Se si vuole uno scopo, è necessario volere i mezzi: se vogliamo schiavi, - e occorrono! - non bisogna educarli da signori.

182.

En politique, le vrai saint est celui, qui fouette et tue le peuple, pour le bien du peuple

206.

I dittatori sono les domestiques du peuple, nulla di più; e la gloria è il risultato dell'adattamento l'adaptation d'un esprit a la sottise nationale.

236.

Un partito della pace, senza sentimentalità, che vieta a sé e ai propri figli di fare la guerra; vieta di far uso dei tribunali; che provoca contro se stesso la lotta, l'opposizione, la persecuzione; un partito dei repressi, almeno per un certo tempo; subito il grande partito. Contrario ai sentimenti di vendetta e ai risentimenti.

Un partito della guerra che proceda con uguale radicalità e severità con se stesso nella direzione opposta.

407.

Lo Stato ovvero l'immortalità organizzata...

all'interno: come polizia, diritto penale, classi, commercio, famiglia

all'esterno: come volontà di potenza, di guerra, di conquista, di vendetta

come si ottiene che una grande moltitudine di uomini faccia cose sulle quali il singolo non sarebbe mai d'accordo?

con una divisione della responsabilità

del comando e dell'esecuzione

con l'intromissione delle virtù dell'obbedienza, del dovere,

dell'amore per la patria e per il principe

la salvaguardia dell'orgoglio, del rigore, della fortezza, dell'odio, della vendetta, in breve di tutte le caratteristiche tipiche che contraddicono il tipo gregario...

Gli accorgimenti per rendere possibili atti, misure, affetti che, considerati individualmente, non sono più «leciti», e non sono neppure «apprezzabili»

l'arte «ce li rende apprezzabili», essa ci fa accedere a questi mondi «estraniati».

lo storico mette in rilievo il loro carattere giusto e razionale; i viaggi; l'esotismo, la psicologia; diritto penale; manicomio; delinquente; sociologia

l'«impersonalità»: in tal modo acconsentiamo a questi affetti e atti come media di una collettività (giudici collegiali, giuri, cittadino, soldato, ministro, principe, società, «critico»)... ci dà la sensazione di compiere un sacrificio...

La conservazione dello Stato militare è l'ultimo mezzo sia per accettare, sia per mantenere la grande tradizione del tipo supremo d'uomo, del tipo forte. E tutti i concetti che perpetuano l'ostilità e la distanza di rango degli Stati possono apparire in tal senso sanzionati... per esempio nazionalismo, protezionismo, il tipo forte è mantenuto come determinante i valori...